Carlo Piola Caselli
La Comunità Europea di Difesa


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     Malgrado le occupazioni e le preoccupazioni dell’ambasciatore Vittorio Zoppi, segretario generale della farnesina, per dar spazio, tramite la CED, al riarmo tedesco, nei negoziati di Parigi, in seguito agli incontri di Santa Margherita, da parte italiana vi era un atteggiamento atto ad assecondare molto platonicamente il piano Pléven, in base alle istruzioni di tenere un atteggiamento di riserbo, impartite dal ministro della difesa Taviani, marcatamente atlantista, come del resto lo era il suo partito, ed allo scetticismo già manifestato dall’ambasciatore Quaroni e dal conte Sforza, nonché dall’atteggiamento dei nostri quadri militari.
     Non solo lo Stato Maggiore italiano era preoccupato dell’egemonia che avrebbe potuto assumere la Francia ma, come suggeriva Musco a Marras, per superare tutte le difficoltà che sarebbero inevitabilmente sorte, sarebbe occorsa una forte regìa politica, mentre il piano Schuman poteva sì essere un lodevole primo stadio di Europa, ma sicuramente non in grado di conferirle un’identità politica, insomma più europeistico che europeo, condizione necessaria ma non sufficiente direbbe un matematico.
     Chiara appariva subito la disparità. Se la Francia manteneva un esercito nazionale, non doveva esser da meno l’Italia, mentre la Germania ne era sprovvista! Per di più, trattandosi di integrare non solo esercito, ma anche marina ed aviazione, a livello europeo, il problema cresceva in maniera esponenziale.
     All’attivo vi era stata, durante la guerra, l’unificazione dei codici di navigazione aerea, la cooperazione marittima e quella aereo-terrestre, ma il personale specializzato in servizio internazionale era ancora esiguo per affrontare simili impegni.