Bacheca d'Europa


Un «Manifesto per l'Arte»
di Carlo Piola Caselli

      Sei artisti contemporanei, Ennio Calabria, Vincenzo Gaetaniello, Alessandro Kokocinski, Ernesto Lamagna, Giovanni Tommasi Ferroni e Giuliano Vangi hanno sottoscritto un «Manifesto per l'Arte» che è stato reso pubblico in occasione della presentazione del catalogo, curato da Paola Di Giammaria, da parte di Lorenzo Zichichi, per conto de "Il Cigno GG Edizioni", nel bellissimo oratorio di San Giuseppe dei Falegnami, al Foro Romano.
      Le opere di questi autori sono esposte, fino a giugno, rispettivamente, in sei chiese di Roma, basilica di S. Andrea della Valle, S. Andrea al Quirinale, basilica di S. Maria sopra Minerva, chiesa del Gesù, basilica dei SS. XII Apostoli, S. Giacomo in Augusta; in questo percorso giubilare nella basilica di S. Marco Evangelista è stata inoltre messa un'opera di Riccardo Tommasi Ferroni, morto nel 2000, risalente al 1960. Si hanno così sette opere di autori contemporanei dislocate in sette chiese romane.
      L'intento è di unire «Fede e Bellezza», come direbbe Niccolò Tommaseo, intesa come approccio psicologico, soffio che dà vita all'anima, stimolo all'intelligenza, orizzonte artistico, per arrivare al concetto espresso nell'Idiota di Dostojevski, assai utopistico al giorno d'oggi, secondo cui «la bellezza salverà il mondo». Dobbiamo però considerare che lo scrittore russo, come è stato da lui poi precisato nei Fratelli Karamazof, non intendesse tanto quella estetica, quanto quella interiore.
      Misericordia, da misereor, che è pietas, compassione, in tutta la gamma di significati biblici ed evangelici. Luca Della Robbia, nella formella del Louvre, «Cristo che conforta un pover'uomo», ha colto nel segno. Ricordiamo i cicli delle sette opere di misericordia corporale e le sette spirituali.
      Comunque la si voglia intendere, poiché sono le élites che fanno la storia, è da ritenere cosa buona e giusta aver intanto colto, come primo passo, l'invito del Papa odierno, Francesco, a riconoscere nel Cristo il volto divino misericordioso, nel condividerne il percorso umano, terreno. Ma già Paolo VI, eletto da appena un anno, il 7 maggio 1964 aveva precisato agli artisti, in un suo discorso nella Cappella Sistina, che a loro tocchi rendere visibile, nella pienezza della libertà espressiva e creativa, ciò che è trascendente e sarebbe quindi invisibile.
      La bolla «Misericordiae vultus» va vista come un'architrave, su cui poggiano i valori della nostra civiltà, protendentesi nei vari continenti, affinché sia anche comun denominatore di ebrei e musulmani, per favorire l'incontro di queste culture.
      Leggiamo un passo del Manifesto: «Sentiamo il bisogno di tradurre nel linguaggio della bellezza – che spesso si manifesta nella sua forma più dura, ma anche esaltante – la verità e la bontà della persona». L'opera diviene un momento «fissato nello sguardo», trasmettendo forza ed emozione.
      Le produzioni di questi autori seguono stili ed interpretazioni assai differenti tra loro: dall'infinita esasperazione arcideformante di Calabria, L'uomo e la Croce, una tela con un Cristo su una croce granitica come una tomba, che ci farebbe dimenticare l'imminente trasfigurazione; la formella in bronzo della Crocifissione di Gaetaniello, con un Cristo dal volto sdoppiato (quello del Padre e quello del Figlio), penzoloni dalla croce, e quattro formelline modellate nel contesto; una composizione mista di pittura e scultura in plexiglas vetroresina stoffa e tavola di Kokocinski, Sulla Terra, sopra il Cielo, con il delinearsi leggero ad angolazione inclinata quasi simmetricamente di una croce sanguinante; l'Ecce Mater Dulcissima in bronzo di Lamagna, che potrebbe rappresentare tanto una madonna quanto una donna (sua madre) sofferente in ospedale, su una carrozzella, opera densa di umanità, con dei simboli di morte da cui scaturisce la vita, come nella melograna che si spacca e da essa escono i semi, destinati a rientrare nel ciclo vitale, cui si contrappone un suo Ecce Homo, senza braccia, poiché una modernità polemica sui simboli gli impedisce di allargarle per abbracciare l'umanità; un Crocifisso, olio su tela, di Giovanni Tommasi Ferroni, con una vaga sensualità e delicatezza alla Guido Reni, rendendo però la croce viva, come se fosse un albero con delle radici su una terra rossa di sangue, mentre il soggetto spicca verso l'alto, l'infinito, in un alone di luce; un Crocifisso, a matita su carta scenografica, di Vangi, un corpo tetragono posto di tre quarti; infine una Deposizione, olio su tela, di Riccardo Tommasi Ferroni, un corpo reclinato in avanti, tratto faticosamente giù da uomini inconsapevoli della grandiosità dell'evento, in uno sfondo tetro, sordo, desertico, dove impera la solitudine dell'uomo odierno, qualora non sappia intendere.



Ecce Mater Dulcissima