Aforismi e Riflessioni sull'Europa

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     Da: Aurelio Saffi, Giuseppe Mazzini, in "Il Risorgimento Italiano", Vallardi, Milano, 1888.

      Rifare la Carta d'Europa e riordinare le Nazioni, a seconda della missione speciale assegnata a ognuna d'esse dalle condizioni geografiche, etnografiche, storiche, era dunque il primo passo essenziale per tutti. E da questi concetti prese inizio appunto il doppio lavoro ideale e pratico della Giovine Italia.
      «L'Umanità» - egli pensava - «è l'Associazione delle Patrie, l'Alleanza delle Nazioni, l'ordinamento de' Popoli, liberi ed eguali, per movere senza inciampi, porgendosi aiuto reciproco e giovandosi ciascuno del lavoro degli altri, allo sviluppo progressivo di quella linea del Pensiero di Dio che sta scritta sulla loro culla, nel loro passato, nei loro idiomi nazionali e sul loro volto.... Il principio dominatore del diritto pubblico non sarà più indebolimento d'altrui, ma miglioramento di tutti per opera di tutti, progresso di ciascuno a prò d'altri». Era questo per Lui il futuro probabile; e a questo Egli volgeva, tra le rovine del presente, il pensiero e l'azione. — Pensò che il lavoro doveva stendersi tra i popoli che non erano ancora e tendevano ad esser Nazioni. «Sono in Europa,» osservava Egli, «tre famiglie di popoli — l'Ellèno-latina, la Germanica, la Slava. L'Italia, la Germania, la Polonia, le rappresentavano. La Grecia, santa di ricordi e speranze... è ora troppo piccola per essere iniziatrice. La Russia dormiva allora un sonno di morte... Il nostro patto d'alleanza dovea adunque stringersi da prima fra i tre popoli iniziatori. La Grecia, la Svizzera, la Romanìa, i paesi Slavi del Mezzogiorno Europeo, la Spagna, si sarebbero a poco a poco raggruppati ciascuno intorno al popolo più affine ad essi fra i tre». — Da questi pensieri nacque l'Associazione intitolata «La Giovine Europa».
      Ma intanto la caccia agli esuli infieriva. Mazzini dovette, coi due Ruffini e col Melegari, lasciar Ginevra. Rimasero celati per un po' di tempo a Losanna: poi presero stanza, tollerati, a Berna; dove, fra la tempesta delle Note diplomatiche e i frequenti richiami della Polizia federale, strinsero in diciasette, fra tedeschi, polacchi e italiani, il Patto della Nuova Fratellanza: prodromo, in loro idea, della futura Federazione de' Popoli europei. — Quel Patto e i Principi proposti a guida degl'iniziatori riepilogavano la dottrina religiosa e sociale della nuova scuola; la qnale contrapponeva al dogma di «una rivelazione esterna, immediata, finale,» la lenta, continua, indefinita rivelazione del disegno Provvidenziale, attraverso la vita collettiva dell'Umanità, e sopprimeva virtualmente tra gli uomini e Dio ogni fonte intermedia di Vero che non fosso il Genio affratellato con la Virtù: e quindi ogni Potere, la cui Autorità, si fondasse sopra un preteso Diritto Divino, Monarca o Papa. — «Un solo Dio; un solo padrone, la di Lui Legge; un solo interprete di quella Legge, l'Umanità». La nuova scuola, ponendo l'Uomo dinanzi alla Legge del Dovere, senza ministero intermedio di tutori privilegiati della sua coscienza, ne avvalorava la responsabilità; e se respingeva, da un lato, l'Autorità assoluta della Tradizione, rigettava, dall'altro, l'assurda teorica della sovranità dell'individuo, sostituendovi una nuova definizione della Libertà, così concepita: «La Libertà è il Diritto che ogni uomo ha di esercitare senza ostacoli e restrizioni le proprie facoltà nello sviluppo della propria missione speciale e nella scelta de' mezzi che possono meglio agevolarne il compimento. — Il libero esercizio delle facoltà individuali non può in alcun caso violare i diritti altrui. — La missione speciale d'ogni uomo deve mantenersi in armonia colla missione generale della Umanità. — La libertà non ha altri limiti».
      Secondo tale definizione, la libertà è quindi ministra della Ragione, e strumento dell'Ordine morale: il Diritto è mezzo al Dovere. Ma «l'Uomo non può raggiungere la conoscenza della sua Legge di vita»; divenir partecipe d'essa Ragione, «se non con lo sviluppo libero ed armonico di tutte le sue facoltà... l'Umanità non può tradurla nella sfera dei fatti, se non con lo sviluppo libero ed armonico di tutte le sue forze; ed unico mezzo per l'una cosa e per l'altra è l'Associazione». Ora — «non è vera Associazione se non quella che ha luogo tra liberi ed eguali.... Per legge data da Dio alla Umanità, tutti gli uomini sono liberi, eguali, fratelli.... L'eguaglianza esige che diritti e doveri siano riconosciuti uniformi per tutti; che nessuno possa sottrarsi all'azione della Legge che li definisce; che ogni uomo partecipi, in ragione del suo lavoro, al godimento de' prodotti, risultato di tutte le forze sociali poste in attività. — La Fratellanza è l'Amore reciproco, la tendenza che conduce l'Uomo a fare per altri ciò ch'ei vorrebbe si facesse da altri per lui». — Ogni privilegio è violazione dell'Eguaglianza. Ogni arbitrio è violazione della Libertà. Ogni atto d'egoismo è violazione della Fratellanza. Combattere il privilegio, l'arbitrio, l'egoismo, è dovere d'ogni uomo che intende la propria missione.
      «Ciò ch'è vero d'ogni individuo in riguardo agli altri individui che fanno parte della Società alla quale egli appartiene, è vero egualmente d'ogni Popolo per riguardo alla Umanità.... Per legge data da Dio alla Umanità, tutti i Popoli sono liberi, eguali, fratelli.
      Ogni Popolo ha una missione speciale che coopera al compimento della missione generale della Umanità. Quella missione costituisce la sua Nazionalità. La Nazionalità è sacra.
      Ogni violazione della Libertà, della Eguaglianza, della Fratellanza dei Popoli va combattuta. Tutti i Popoli devono prestarsi aiuto perchè sparisca.
      «L'Umanità non sarà veramente costituita se non quando tutti i Popoli che la compongono, avendo conquistato il libero esercizio della loro sovranità, saranno associati in una federazione repubblicana, per dirigersi, sotto l'impero di una dichiarazione di principi e di un patto comune, allo stesso fine: scoperta e applicazione della Legge morale universale».
      Tale lo schema ideale della Giovine Europa, nel quale gl'intendenti possono scorgere, s'io bene avviso, maturato e svolto alla luce delle idee moderne sul progresso storico della Umanità, il concetto di Dante sull'organamento armonico delle graduate cerchie dell'umana Associazione, coordinate e cooperanti al fine universale della Civiltà.
      Alla dichiarazione de' Principi corrispondeva il Patto, nel quale erano definite le norme e prescritti i doveri dell' Associazione. E siccome trattavasi allora, non d'azione immediata, ma di propaganda d'idee, Mazzini cercò contatto con gli uomini che, nel moto de' tempi, rappresentavano sopratutto il pensiero: e, fra questi, con Lamennais, la cui mente iva, in que' giorni, scostandosi dalla Chiesa del passato, per cercare libertà e conforto di fede rinnovellati nella coscienza stessa della Umanità, viva e perenne interprete dell'Ordine dell'Universo. Non ostante il divario delle loro vedute ne' particolari di minor conto, il senso profondo della sovranità della Legge Morale e del Dovere dominava l'animo d'entrambi, sì che s'amarono come fratelli di lavoro, e l'amicizia che li congiunse, non cessò che per morte.
      Firmato il Patto della Giovine Europa, gl'iniziatori si sparsero in vari luoghi delle frontiere ad intento di estendere nelle rispettive Patrie le fila dell'Associazione. La Svizzera era centro opportuno ad un lavoro di propaganda europea, e giovava a stornare gli animi dal preconcetto che nulla si potesse se l'iniziativa non moveva da Parigi. Laonde Mazzini, coadiuvato dai migliori fra gli uomini della Democrazia elvetica, impiantò, nel 1834, come ramo dell'Associazione generale, la Giovine Svizzera. Fatto acquisto di una stamperia a Bienna, nel Cantone di Berna, v'imprese con essi la pubblicazione di un periodico, che, dal nome dell'Associazione, fu intitolato la Jeune Suisse. Era scritto in due lingue, la francese e la tedesca. Mazzini vi trattò dei vizi dell'ordinamento federale della Svizzera a quei giorni, e dei modi di ripararvi; del Diritto d'Asilo; degli uffici di quella libera terra verso i popoli oppressi; e, levandosi a questioni più generali di libertà, di giustizia internazionale, di emancipazione economica e politica delle classi diseredate, di rinnovamento religioso e morale, di associazione degli intelletti e delle forze civili de' popoli sulle vie del progresso, preluse, in quelle pagine, allo dottrine ch' Egli venne svolgendo dappoi negli altri suoi scritti. «E il nostro linguaggio,» Egli dice, «era pacifico, grave, filosofico, inusitato nella polemica giornaliera d'allora». E invero, parecchi di que' suoi articoli, tradotti da lui medesimo e inseriti nel V volume delle Opere, ne fanno testimonianza. E n'è documento ammirabile, fra gli altri, lo scritto intitolato Fede e Avvenire, ch'Egli compose in francese, e pubblicò separatamente a Bienna in quel torno, voltandolo più tardi in italiano pel Volume or ora citato. Ricorrendo col pensiero agli esuli di Bienna in que' due anni (1835-36); e ai loro collaboratori, svizzeri, francesi, tedeschi, polacchi, par di vedere un'accolta di filosofi, intesi, come i Pitagorici delle città delia Magna Grecia, ad ammaestrare le genti sui fini morali della vita; e, come i Pitagorici, fatti segno alle ire di un mondo profondamente guasto. A breve andare, materialisti e scettici d'ogni risma, politici immorali e governi tristi e codardi, s'accordarono a gridare la croce addosso ai predicatori del Vero o del Giusto: e la persecuzione non tardò a colpirli più fiera che mai.
      La propaganda della Giovine Europa, per la sua stessa tendenza alla solidarietà de' popoli nel moto delle rivoluzioni nazionali, allarmava, pur con la sola idea, le varie diplomazie; e non fu risparmiato mezzo, anche il più ignobile, per far che cessasse: intimazioni o minaccie «al fiacco od illiberale Governo elvetico»; false accuse, agenti provocatori: fra'quali un tristo arnese della polizia di Luigi Filippo, certo Conseil, fatto errare, con falso nome o sotto vesta di complice dall'attentato Alibeau, fra gli esuli ad incriminarli come fautori del regicidio. Respinto da Mazzini, scoperto e costretto a confessare partecipe della trama il Duca di Montebello, ambasciatore francese a Berna, dovette dileguarsi; ma le esigenze contro gli esuli durarono insistenti, e il governo federale finì col cedere ai padroni di fuori.
      Mazzini alloggiava, in que'giorni, nello stabilimento de' Bagni di Grenchen, unicamente inteso all'opera del Periodico. Minaccie d'intervento e false denunzie sospinsero i governanti Svizzeri a violare il rifugio degli esuli italiani, che il Ministero francese, capitanato allora da Thiers, accusava di star maneggiando coi tedeschi una spedizione nel Ducato di Baden. Lo stabilimento fu circondato ed invaso da soldati e gendarmi svizzeri